Comunione legale dei beni: come evitare che l'apporto all'azienda diventi comune?



Interessante sentenza della Corte di Cassazione n.20066, depositata in data 13.7.2023, perché tratta dell’appartenenza alla comunione legale dei beni con riferimento al  valore di una società s.r.l., costituita dopo il matrimonio, in applicazione degli artt. 178 e 194 cod. civ. e della regola della distribuzione in pari quote di attivo e passivo.

Le Corti di merito ebbero a rilevare come  irrilevante, prima ancora che tardiva, la prova offerta dal marito di aver utilizzato denaro personale per la ricostituzione del capitale della società, non ritenendo richiamabile  il III comma dell’art. 192 cod. civ., secondo cui possono essere chieste in restituzione le somme prelevate del patrimonio personale ed investite per il patrimonio comune già costituito.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello respinsero quindi la domanda del marito affermando che nella fattispecie si trattava di denaro personale impiegato per acquisizioni che hanno concorso a formare la massa comune e che perciò in tale ipotesi doveva applicarsi l'articolo 194 comma I cod. civ., per cui all'atto dello scioglimento l'attivo e il passivo devono essere ripartiti in quote uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi.

Anche la Corte di Cassazione respingerà il ricorso proposto dal marito affermando che i «proventi», seppure provenienti dall’attività personale separata di ciascuno, in quanto conseguiti durante il matrimonio, divengono denaro «familiare». Per «separare» il denaro personalissimo allo scioglimento della comunione, resta allora il problema di provare non già soltanto la proprietà di una certa somma prima del matrimonio o la sua provenienza da successione o donazione, ma l’ulteriore fatto che il denaro che resta non sia «familiare» ma «personalissimo» perché specificamente «conservato» e non utilizzato per i bisogni della famiglia.

Avv. Francesco Frigieri